“Quando c’ero, non pensavo, quando pensavo, non c’ero”
Non è mai semplice scrivere di se stessi, per quanto io possa avere una sorta di adorazione verso tutto ciò che è espressione e manifestazione della parola, penso che chi opera o si accinge verso l’illimitato campo dell’arte, debba il meno possibile parlare del proprio lavoro, poiché e comunque, qualsiasi concetto palesato, anche il più obiettivamente possibile, non potrà mai esprimere a pieno quel mistero intenso e profondo che lega l’artista alla sua opera, soprattutto a quel particolare momento che è il suo concepimento.
Nell’opera entrano in gioco innumerevoli elementi che esulano dalla parola, pertanto il mio dubbio è se la parola non impoverisca la scultura nell’istante stesso in cui è pronunciata dal suo artefice.
Credo ci sia il rischio di dare una lettura condizionata e condizionante, di conseguenza limitata dell’opera; è come se si cercasse di definirne i confini invece di lasciarla libera di sconfinare e quindi di significare arbitrariamente.
Dopotutto è anche vero che da quando l’artista la licenzia, l’opera non gli appartiene più, ma piuttosto appartiene a chi la osserva, a chi la fa sua nel fruirne, a chi la carica di significato con il suo personale sentire.
Alla luce di ciò, scelgo di scrivere cercando di focalizzare il mio pensiero su dei punti prescelti e sul significato che questi hanno sul mio operare.
“Il tempo mi ha rubato il tempo e ora non ho più tempo da perdere”
Il mio percorso artistico è cominciato in netto ritardo e oggi il tempo pressa sempre più incisivo;non che la questione anagrafica debba considerarsi un limite, ma sicuramente il tempo a disposizione è ridotto.
Ho dedicato gran parte della mia vita a costruire quella solidità che mi avrebbe messo al sicuro da qualsiasi tipo di disorientamento, mentre caparbiamente e vigliaccamente relegavo la spinta creativa in un angolo cieco della mia esistenza. Negli anni ho scritto, per anni ho scritto, inezie che hanno tuttavia avuto la loro utilità, hanno, infatti, mantenuto vivo un barlume di quella creatività insita nel profondo e celata.
Ora non è più tempo di viltà, dopo anni trascorsi a pensare è arrivato il tempo di fare, “faccio cose”, non mi pongo in merito troppe domande ma rispondo a un bisogno quasi fisico, a un’urgenza che preme e mi conduce a continuare a fare cose.
“Vorrei trovare la severità di un asceta e mi ritrovo la mollezza di un invertebrato”
La riflessione attuale sul mio lavoro vuole partire da questa frase che ronza nei miei pensieri, poiché la mia ricerca si rivela come un’intensa lotta, il confronto con la materia e la forma dell’arte un grande dilemma, un mistero ancora irrisolto, una ressa tra lunghe attese, tentativi e confuse risposte.
Ciò è ovvio, poiché da una parte, non riuscirò mai a essere completamente soddisfatta e appagata del mio lavoro, dall’altra il persistere della spinta emotiva e il bisogno di sfidare la materia mi conduce a forzare oltre, fino a sfidare le mie possibilità.
A chi mi chiede cosa scolpisco, rispondo che “faccio cose”, che mi diletto con i materiali, qualsiasi essi siano, forse faccio sculture, ma non è questo che conta, conta la necessità che il mio corpo, le mie mani, hanno del confronto con la materia, così come la mia mente ha la necessità di nutrirsi delle parole.
Una, due o forse più anime vivono in ognuno di noi, in me sono diverse e quotidianamente tentano di divorarsi a vicenda.
Dopotutto siamo quello che siamo ma anche quello che crediamo di essere, come siamo anche quello che gli altri pensano noi siamo, ma ancora, e soprattutto, siamo quello che vorremmo essere, ed è per questo che lottiamo.
“Se non si spezza la dura legge della materia non c’è spirito che si possa liberare”
Il lavoro con certi materiali conduce a intense sensazioni tattili, olfattive, elementi caratterizzanti il lavoro di chi scolpisce, di chi sfida i materiali con le mani o con i ferri del mestiere, di chi cerca di svelare i contenuti, di chi cerca l’essenza stessa, l’anima delle cose e usa un percorso plastico, magari inventando, interpretando, o semplicemente trasformando la materia di cui dispone.
La materialità, appunto, nella miriade delle sue possibili articolazioni è la misura dello scultore.
La materia condiziona l'uomo artista dal suo prospettarsi a livello molecolare fino al suo costituirsi in forme e in estensioni.
“Compito dell’opera è di svelare l’arte e non di svelare l’artista”
E' il discorso, sicuramente scontato, dell'immagine derivata dalla materia, dell’immagine che insorge come un assillo, come un qualcosa d’incontenibile che ci sta dentro ed esige una forma.
Quel qualcosa che quando avviene genera incontenibilmente un campo di emozioni, e salda così la magia propria del fare scultura in un collocarsi dentro le dinamiche delle forme, dall'indistinto fino al distinto, in una molteplicità di punti di aggregazione dove si realizza il fascino del produrre tipico dell'arte che è sensibilità particolarmente assorbita che crea e che svela.
“Tutto e il contrario di tutto”
Tra geometria e organicità, tra naturale e artificiale, tra peso e leggerezza, tra materiale e immateriale, tra ordine e disordine, tra tutti gli elementi opposti, tra quei contrasti e quelle contraddizioni che compongono l’umana realtà, luce buio, bianco nero, vuoto pieno, materia spirito, trasparente opaco, ecc.
Ecco forse il mio pensiero si muove su questi contrasti e ancora di più sul concetto stesso di contrasto, di opposto, di antitetico.
Ma nulla, e credo sia giusto, nell’opera è dichiarato veramente fino in fondo, tutto rimane e deve rimanere in uno stato di allusione, di potenzialità, tutto può cominciare e ricominciare, tutto può essere tutto e il contrario di tutto, e muta sempre di significato secondo come si guarda, secondo chi guarda, secondo quale stato d’animo in quel preciso momento ha chi guarda, mai uguale a se stesso.
“Anno accademico 2009/2010 - l’inaspettato prende forma”
Entrando nel merito del lavoro svolto durante quest’anno, posso dire che si è innescato e ha cominciato a prendere forma nel mio lavoro un percorso parallelo a quello di sempre.
Questo nuovo percorso è nato conseguentemente agli stimoli che mi sono arrivati in ambiente accademico e che ho cercato di cogliere e interpretare.
La forza di questi stimoli ha favorito una certa produzione d’idee, non tutte progettate e/o portate a termine con interventi precisi e definiti, ma comunque ricche di significato.
Nel mio consueto percorso, mi confronto generalmente con quei canoni e materiali strettamente legati a un discorso puramente scultoreo, dove gli elementi basilari sono quelli propri della plasticità nel rapporto forma materia spazio; confronto che si traduce in soluzioni che palesano la necessità di arrivare alla sintesi estrema, alla pura essenzialità, con accentuati caratteri di estenuante ed esasperata risoluzione delle superfici, non disdegnando nessun tipo di materiale manipolabile direttamente o con l’uso di strumenti.
Nel nuovo e parallelo percorso, invece, a seguito dei temi assegnati, mi sono indirizzata verso soluzioni nuove, verso espressioni legate a un sentire tutto interiore e dettate più da elementi mentali che fisici, imponendomi anche la necessità di adottare materiali e canali diversi e per certi aspetti a me nuovi.
I lavori realizzati seguono un proprio percorso e rimandano a qualcosa di successivo, in una trasformazione di stato che dall’oggetto originale arrivano a qualcosa di diverso, a qualcosa d’altro.
Ad esempio per il tema dell’oggetto trovato, sono partita da un semplice tronco che custodivo da anni e che sarebbe dovuto rientrare nel mio lavoro sulla forma non forma dell’acqua.
L’oggetto in se ha rappresentato solo il principio di una storia sul concetto di tempo, del tempo sentito e del tempo scandito, del tempo uno e multiplo.
La storia divisa in quattro diverse fasi cerca di narrare il tempo della natura, il tempo dell’uomo, il tempo della tecnologia e infine l’assenza di tempo.
Per il secondo tema, quello della paura, inizialmente ho cercato di riflettere sulle paure più comuni che riguardano più o meno tutti, da qui “Un ritorno causale”, composizione fotografica che ritrae una serie di bambole e pupazzi.
In seguito mi sono soffermata sulle mie paure e partendo dall’elaborazione iniziale del mio occhio sinistro, ripetuto in una composizione modulare, sono arrivata a elaborare una mia precisa e innata paura, quella del buio e precisamente quella del non poter vedere.
No comments:
Post a Comment