IL RISULTATO DI UNO SCOLARO
Mi trovo a lavorare con molti materiali, lavoro col metallo, che è duro da tagliare. Le mole elettriche fanno sempre una gran paura. Può scappare da una mano e tranciarti l’altra. La pietra invece ti irrobustisce i palmi delle mani. I calli ti desensibilizzano le percezioni tattili ma ti permettono di soffrir meno a lungo a dare.
La pietra è dura.
Tengo d’occhio chiunque si metta a lavorare alle proprie cose, sguardo fisso sulle mani del Beato che riesce ad infrangere la barriera dell’imbarazzo. Toccare l’argilla equivale all’affondare lo sguardo verso qualcosa di immensa bellezza. Tutto può prender forma. Puoi togliere e mettere con la più totale libertà. L’argilla è un ottima matrice per le mani. Quando è fresca riesce a conservare la vitalità propria della terra, prima tra tutte le madri. Nell’argilla c’è l’immediatezza. Posso esprimere in un attimo un pensiero, come in un disegno. Faccio fatica ad abbandonare le tradizionali tecniche di lavoro. È da queste che c’è l’inizio. Non sono solo vecchi mezzi. Sono gli importanti vecchi mezzi.
Spesso penso che non è grave quel “saper fare” senza il troppo ragionare. Questo è un probabile metodo che spesso mi porta ad un nuovo approccio, ad una nuova sicurezza, ad una consapevolezza formale, alla scoperta di un nuovo accostamento di colori o di materiali. Porta ad una riflessione quando quello che si è fatto rispecchia se stessi.
Trovare un oggetto è cosa comune a tutti. Farne qualcosa è conseguenza ovvia. Va bene riporla in un posto e anche portarla appresso.
Ne ho trovato uno che ha prodotto un gioco. Una pietra con su scritto PROPIETA’. Fu buttata da mio nonno in una buca per un errore di R. Allora l’ho affiancata ad un altro oggetto su cui ho scritto PROPRIETA’. La parola scritta ribadisce la sua essenza. R l’ho spostata nel terzo blocco e la scritta ha un rinnovato peso. PROPIETRA. Questo inganna a chi legge con la fretta. Ma a chi è attento a quello che è scritto riconosce ch’è successo. Solo un gioco in cui la parola lentamente s’è fatta materia. Pro-pietà è stato il pretesto, l’innesco. Proprietà è la caratteristica di un ènte. L’essenza, “ciò per cui una cosa è quello che è, e nessun’altra cosa” Pro-pietra è la stessa cosa sia nella parola che nell’oggetto stesso. E tutto questo è un gioco.
Ci son lavori che invece sono tanto ragionati e studiati. Ne ho fatto uno che fa paura! È una trappola per volpi, stacca teste e rompi ossa.
L’ho messa a terra, con uno specchio e foglie tutt’intorno. Son di quel bosco che non è altro che la mia casa, calda e chiusa. Ma dov’è la paura? È nell’oggetto che ho sostato in una stanza o nella faccia che impressiona ogni istanza?
Fa paura, non so perché ma fa paura. È la mia faccia che fa paura. Il riflesso di una vita che vien vista dal rovescio, quando la si gira viene fuori tutto il vero. È quello che fa paura.
Ho voluto una grande donna. Una donna cosi vuol dirmi qualche cosa. Lei è femminile e antica, lei è madre. Lei è quel che è. Donna. Null’altro. Io l’ho voluta dopo un viaggio Ma questa donna aspetta altro tempo e altro impegno.
Non sempre ho un’idea già ben chiara in mente, ma la spinta emotiva mi da quel LA che almeno mi fa partire. L’importante è che ci sia stata questa spinta che è l’inizio di un lavoro.
Mi interessa quando ci sono degli estremi che trovano un accordo, un dialogo che mi dica che non è una legge stare sempre con gli uguali. L’ho provato con le pietre e con il ferro, con il legno e con il vetro, con parole e con altre pietre. Con il bianco ed il nero. In pittura. Con un uomo ed una donna che sono ricerca dell’opposto che manda avanti il mondo. È la base di quel nuovo che è l’inizio, ed è anche “insieme”. I due diventano un solo corpo.
Questi son pensieri. Noi artisti siamo chiamati a tradurre questo e quello con i mezzi che ci sono. Io SCOLPISCO, MODELLO E ASSEMBLO, DIPINGO E DISEGNO... ma improvviso quando perdo il segno…
-Sassolino-
Mi trovo a lavorare con molti materiali, lavoro col metallo, che è duro da tagliare. Le mole elettriche fanno sempre una gran paura. Può scappare da una mano e tranciarti l’altra. La pietra invece ti irrobustisce i palmi delle mani. I calli ti desensibilizzano le percezioni tattili ma ti permettono di soffrir meno a lungo a dare.
La pietra è dura.
Tengo d’occhio chiunque si metta a lavorare alle proprie cose, sguardo fisso sulle mani del Beato che riesce ad infrangere la barriera dell’imbarazzo. Toccare l’argilla equivale all’affondare lo sguardo verso qualcosa di immensa bellezza. Tutto può prender forma. Puoi togliere e mettere con la più totale libertà. L’argilla è un ottima matrice per le mani. Quando è fresca riesce a conservare la vitalità propria della terra, prima tra tutte le madri. Nell’argilla c’è l’immediatezza. Posso esprimere in un attimo un pensiero, come in un disegno. Faccio fatica ad abbandonare le tradizionali tecniche di lavoro. È da queste che c’è l’inizio. Non sono solo vecchi mezzi. Sono gli importanti vecchi mezzi.
Spesso penso che non è grave quel “saper fare” senza il troppo ragionare. Questo è un probabile metodo che spesso mi porta ad un nuovo approccio, ad una nuova sicurezza, ad una consapevolezza formale, alla scoperta di un nuovo accostamento di colori o di materiali. Porta ad una riflessione quando quello che si è fatto rispecchia se stessi.
Trovare un oggetto è cosa comune a tutti. Farne qualcosa è conseguenza ovvia. Va bene riporla in un posto e anche portarla appresso.
Ne ho trovato uno che ha prodotto un gioco. Una pietra con su scritto PROPIETA’. Fu buttata da mio nonno in una buca per un errore di R. Allora l’ho affiancata ad un altro oggetto su cui ho scritto PROPRIETA’. La parola scritta ribadisce la sua essenza. R l’ho spostata nel terzo blocco e la scritta ha un rinnovato peso. PROPIETRA. Questo inganna a chi legge con la fretta. Ma a chi è attento a quello che è scritto riconosce ch’è successo. Solo un gioco in cui la parola lentamente s’è fatta materia. Pro-pietà è stato il pretesto, l’innesco. Proprietà è la caratteristica di un ènte. L’essenza, “ciò per cui una cosa è quello che è, e nessun’altra cosa” Pro-pietra è la stessa cosa sia nella parola che nell’oggetto stesso. E tutto questo è un gioco.
Ci son lavori che invece sono tanto ragionati e studiati. Ne ho fatto uno che fa paura! È una trappola per volpi, stacca teste e rompi ossa.
L’ho messa a terra, con uno specchio e foglie tutt’intorno. Son di quel bosco che non è altro che la mia casa, calda e chiusa. Ma dov’è la paura? È nell’oggetto che ho sostato in una stanza o nella faccia che impressiona ogni istanza?
Fa paura, non so perché ma fa paura. È la mia faccia che fa paura. Il riflesso di una vita che vien vista dal rovescio, quando la si gira viene fuori tutto il vero. È quello che fa paura.
Ho voluto una grande donna. Una donna cosi vuol dirmi qualche cosa. Lei è femminile e antica, lei è madre. Lei è quel che è. Donna. Null’altro. Io l’ho voluta dopo un viaggio Ma questa donna aspetta altro tempo e altro impegno.
Non sempre ho un’idea già ben chiara in mente, ma la spinta emotiva mi da quel LA che almeno mi fa partire. L’importante è che ci sia stata questa spinta che è l’inizio di un lavoro.
Mi interessa quando ci sono degli estremi che trovano un accordo, un dialogo che mi dica che non è una legge stare sempre con gli uguali. L’ho provato con le pietre e con il ferro, con il legno e con il vetro, con parole e con altre pietre. Con il bianco ed il nero. In pittura. Con un uomo ed una donna che sono ricerca dell’opposto che manda avanti il mondo. È la base di quel nuovo che è l’inizio, ed è anche “insieme”. I due diventano un solo corpo.
Questi son pensieri. Noi artisti siamo chiamati a tradurre questo e quello con i mezzi che ci sono. Io SCOLPISCO, MODELLO E ASSEMBLO, DIPINGO E DISEGNO... ma improvviso quando perdo il segno…
-Sassolino-
No comments:
Post a Comment